Quanti vivono in piccole comunità  pagano lo scotto della carenza di molti servizi a carattere urbano,  ma questo modo di vivere, molto legato alla realtà rurale ed alla civiltà dei borghi, interessa quasi il 20% della popolazione italiana. La pandemia ha indotto a ricercare, in questa dimensione sociale ristretta, potremmo dire a misura d’uomo, la possibilità di poter mantenere un minimo sistema di relazioni umane, sicuro e  salutare per il proprio benessere fisico e psichico.

E’ stata la riscoperta di un patrimonio di vita civile, sociale ed economica. Nella fase della ripartenza va conservata la memoria di queste opportunità di vita, da salvaguardare e valorizzare in modo che possano contribuire adeguatamente allo sviluppo del Paese.

Alle problematiche, agli orientamenti ed alle aspettative che caratterizzano la gestione quotidiana e la vita dei piccoli Comuni il Censis prestò attenzione qualche anno fa con una ricerca della quale si riportano alcuni punti salienti.

Il Censis partiva da una verifica dei fattori che favoriscono la coesione delle piccole comunità, evidenziando come sia un insieme di beni immateriali a costituire il valore più alto ed a costruire l’identità della comunità locale. “Paesaggio, storia, cultura: sono questi i fattori –affermava il Censis- che più di tutti uniscono le piccole comunità, le solide basi di un senso di appartenenza altrimenti incerto… E’ un modello che rivendica con orgoglio la propria unicità, attingendo i suoi tratti identitari da un lato alla riscoperta del grande patrimonio storico e paesaggistico comune, dall’altro alla conferma di uno stile di vita fortemente alternativo al modello metropolitano, con tutte le implicazioni  che ne conseguono, in positivo e in negativo”.

Certamente l’ambiente, il paesaggio non garantiscono da soli una buona qualità della vita, in quanto il patrimonio  dei beni immateriali, il sistema di relazioni umane  specifico di un territorio intervengono ad arricchire un determinato contesto locale ed a costituire i punti  di forza per un progetto di sviluppo.

Il piccolo, in questo lungo periodo di crisi economica e finanziaria, ha rappresentato un vero e proprio problema  di carattere strutturale dovuto  alla diminuzione delle risorse pubbliche insieme ai temi dell’invecchiamento della popolazione, all’impoverimento delle famiglie ed allo spopolamento, dovuto principalmente alla fuga dei giovani. “Sempre più spesso –affermava il Censis- piccolo ha significato periferia, marginalità, in un’equazioneche relega i centri meno popolosi a soffrire una doppia difficoltà di accesso: da un lato alle infrastrutture e alle vie di trasporto, dall’altro ad alcuni servizi di base, come scuole e ospedali”.

La via d’uscita è rappresentata, per il Censis, da una collaborazione infraterritoriale che sappia assicurare continuità al sistema di rapporti presente nelle varie realtà locali in quanto espressione di un governo partecipato, percepito, principalmente per la presenza di amministratori locali,  attento e vicino ai problemi dei cittadini e che nel contempo poggi sulla presenza di quella rete solidale costituita da cooperative sociali, da associazioni  di diversa natura costituite localmente, guardando a collaborazioni territoriali sempre più estese.

L’attenzione dovrebbe essere   ad un assetto degli Enti locali che tenga conto, nella logica dell’integrazione,  di questo bene immateriale esistente e rilevante  anche economicamente.

Ma uguale rilevanza ha, nella logica della sussidiarietà, una stretta collaborazione tra le comunità locali e le istituzioni, attori da coinvolgere, in quanto “elementi -si sostiene nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)- – di quel necessario cambiamento della vita non solo economica, ma anche democratica, sociale e politica che da sole le risorse non possono assicurare”, promuovendo “approcci –come  indica lo stesso PNRR- integrati e partecipativi al fine di generare benefici nei quattro pilastri dello sviluppo sostenibile: l’economia, la diversità culturale, la società e l’ambiente”,

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